«Casa Vuota diventa il teatro di un’affabulazione onirica per attori bambini– raccontano i curatori Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo – nella misura in cui l’artista attinge alle sue memorie personali e al suo mondo interiore, mescolando ricordi della terra in cui è cresciuta, microstorie quotidiane e appunti di sogni presi appena sveglia, che si apparecchiano nella forma di nature morte arroccate oltre i bordi della realtà».
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Nella pratica artistica di Steinbrecher quello che salta subito all’occhio è l’idea molto personale di collegare le forme sulla tela come dei moduli per formare nuove composizioni più grandi: un esempio sono le opere Rast del 2023 e Rast II del 2024. L’autonomia non è più il prerequisito primario per un'immagine, piuttosto è il potenziale per un cosmo visivo eterogeneo che consente spazio per una narrazione, un'emozione o una riflessione sulla propria corporeità. L’artista concepisce i suoi quadri come parti che si riuniscono in un processo mutevole per creare una composizione.
“Cerco spazi cosmici, cieli, spazi lontanissimi però tattili. Gli spazi che cerco non sono tanto in una superficie, quanto al di là di essa...Le mappe astrali rispondevano all'esigenza di un rapporto con l'infinito, di una dilatazione e proiezione sulla lontananza... Sono un invito al viaggio.” Maria Lai
Questa mostra si confronta con tre romanzi di Italo Calvino—Se una notte d'inverno un viaggiatore, Le città invisibilie Palomar—oltre che le tre città che hanno segnato il mio personale percorso verso questa mostra: Bangkok, Los Angeles, Roma. L’installazione intreccia il visivo ed il sonoro, l'effimero ed il fisico, utilizzando una configurazione tripticale e scalabile, piegando e dispiegando ogni strato, dalle impronte sonore delle città, alla video-installazione performativa e relazionalmente-modulare[1], alle tre sculture sonore in rame. I suoni stessi sono creati dai gesti performativi dei partecipanti sui social provenienti da tutte e tre le città, dalla flautista Cari Ann Souter e da me stesso, ulteriormente modulati dal sistema soggettivo dei movimenti dello spettatore pubblico nella galleria - resistendo al sistema fisso della videoproiezione che incorpora il mito, eppure fagocitati al suo interno.
Concepita come un'indagine aperta sul presente "Ho preparato una trappola per Alice" (titolo liberamente tratto da un’opera di Emilio Prini), traccia un percorso tra opere e pensieri di otto artiste donne di generazioni diverse.
Non una mostra, non un omaggio, non una esposizione, una possibilità, una visione, un orizzonte, da comporre e scomporre, intersecare, immaginare. Una storia delle donne che non finisce. Opere e pensieri che possono incastrarsi risuonando tra loro. Un canovaccio artistico tra riflessi e riflessioni.
A cura di Anna Gambatesa, l’evento vuole riflettere sull’evoluzione del pensiero femminista attraverso differenti tematiche affrontate nel tempo dalle artiste, più o meno impegnate o militanti, Ada Costa, Chiara Fumai, Franca Maranò, Fiorella Rizzo, Guillermina De Gennaro, Jasmine Pignatelli, Jolanda Spagno, Ivana Pia LorussoVentiquattro artiste selezionate tramite un’idea aggregativa del Comitato composto da Loredana Galante, Antonella Casazza e Marta Mez, (anch’esse artiste) che hanno ideato e concretizzato una collettiva tutta al femminile. A corredo dell’iniziativa una scommessa sinergica, un catalogo analitico che vuole indagare e restituire uno spettro di declinazioni concettuali ed estetiche frutto di variegate esperienze artistiche.
Artiste: Silvia Beltrami, Marianna Bussola, Anna Caruso, Antonella Casazza, Elisa Cella, Eleonora Chiesa, Cristina Costanzo, Ilaria Del Monte, Loredana Galante, Debora Garritani, Giovanna Lacedra, Coquelicot Mafille, Florencia Martinez, Marta Mez, Elena Monzo, Saba Najafi, Ieva Petersone, Alessandra Rovelli, Marta Sesana, Milena Sgambato, Tina Sgrò, Sanda Skujina, Vania Elettra Tam, Francesca Vitali Boldini